Il Principio del Lettore Assiduo, I Classici e L’importanza delle Correzioni.

E così mi misi a leggere sul serio.
Perché un conto è leggere un libro, un altro è iniziare a pensare quale sarà quello successivo, una volta oltrepassata la metà di quello che si sta leggendo. Non so se vi è mai capitato.
E’ una delle mie sensazioni preferite.
La mia regola è appunto di arrivare almeno a metà, prima di iniziare a guardare la vetrina della libreria. Così sono un po’ più sicuro di riuscire a finirlo. E’ il principio del lettore assiduo, come se ogni libro fosse soltanto una parte di qualcosa di più grande.
Dopo Lo Hobbit mi dedicai a quelli che oggi sono considerati i classici: Il Signore degli Anelli, Le Cronache di Narnia e Il Mago di Earthsea.
Un discorso particolare su quest’ultimo: Ursula K. Le Guin è forse una delle più grandi autrici di narrativa fantastica al mondo. Ce ne sono pochi come lei. Sebbene si sia in seguito concentrata principalmente sulla fantascienza, il ciclo di Earthsea è ancora oggi rivoluzionario.
Vi basti pensare che senza di lei, probabilmente oggi non avremmo Harry Potter (e guarda caso anche lì si tratta di una donna. Nessuno racconta l’apprendistato magico come le donne).
La prima metà del 1970 la passai così: leggendo e alzando la sbarra del cancello.
E mentre la lettura/studio procedeva, io iniziavo a scribacchiare qualcosa. Solo spunti inizialmente, magari brevi paragrafi. Non c’era ancora una struttura, un pensiero di fondo che riguardasse un’idea di storia compiuta.
Ogni settimana, facevo leggere tutto a Gloria. Ogni riga che scrivevo, anche quelle più insignificanti. Lei puntualmente correggeva tutto. Mi faceva notare gli errori, le ripetizioni, l’abuso di termini che ormai conoscevo bene. Mi spronava a sfogliare il dizionario (avevo comprato un dizionario) e a cercare nuove parole.
Non era facile ma verso la fine dell’anno avevo il mio primo racconto compiuto, di cui eravamo entrambi soddisfatti. Il suo titolo era Specie Protetta.
Ovviamente, c’erano di mezzo i Draghi.

Il Problema della Lingua, Un’Insegnante e Uno Hobbit.

La decisione era presa. Il passaggio successivo era incominciare a fare, e cioè scrivere. Non era facile.
Primo, non avevo idea di come si facesse.
Secondo, la mia idea era scrivere per qualcuno, cioè perché mi leggessero, quindi si presupponeva una certa preparazione.
So che oggi può sembrare strano, visto che lo fanno un po’ tutti ma allora la mia percezione era diversa. Non ti mettevi a riparare una macchina se non sapevi dove mettere le mani. La portavi a un meccanico. Ecco, più o meno era lo stesso.
Quindi dovevo imparare. Ma dove?
Oggi è pieno di corsi di scrittura creativa, nel 1970 no.
A scrivere si imparava a scuola. E poi c’era il problema della lingua, una cosa non da poco. Mi capitò di parlarne con zia Clotilde e saltò fuori che una sua vecchia amica, Gloria, una signora dai capelli bianchi di origine scozzese, insegnava in una scuola lì vicino e – zia ne era certa – per qualche dollaro sarebbe stata disposta a darmi lezioni private la sera.
E così fu. Iniziai a vedere Gloria ogni martedì e giovedì sera. Da principio fu un semplice corso di lingua inglese. Ma a poco a poco i mesi passavano, io imparavo e Gloria si impegnava sempre di più nello scegliere i brani che avrei dovuto leggere. Ricordo filastrocche, poesiole per bambini all’inizio; poi veri e propri testi di letteratura. La maggior parte mi annoiavano a morte.
Ogni tanto però capitava qualcosa che risvegliava la mia attenzione. Ricordo che mi colpì un brano da Ivanhoe. Quando Gloria se ne accorse, mi chiese (non l’aveva mai fatto) che cos’avessi intenzione di scrivere. Io le mostrai timidamente il libro della McCaffrey. Lei si appuntò il titolo e il nome dell’autrice e qualche altra nota che non ricordo.
Sta di fatto che, la lezione successiva, si presentò con un libretto sotto braccio. Era una vecchia edizione, un po’ malandata, eccola qui:

8747020503

Come immaginerete, il titolo non mi disse nulla se non che esisteva un’altra parola di cui non conoscevo il significato. Ma il brano che mi fece leggere…quello era straordinario. Iniziava così:

In a hole in the ground there lived a hobbit. Not a nasty, dirty, wet hole, filled with the ends of worms and an oozy smell, nor yet a dry, bare, sandy hole with nothing in it to sit down on or to eat: it was a hobbit-hole, and that means comfort. It had a perfectly round door like a porthole, painted green, with a shiny yellow brass knob in the exact middle. The door opened on to a tubeshaped hall like a tunnel: a very comfortable tunnel without smoke, with panelled walls, and floors tiled and carpeted, provided with polished chairs, and lots and lots of pegs for hats and coats – the hobbit was fond of visitors. “

Potete capire il mio stupore.
Immagino abbiate provato lo stesso, la prima volta che avete letto Tolkien.